Crescere nel castello di Antognolla: Intervista a Ermanno Polla

È difficile trovare una persona che conosca meglio di Ermanno Polla la storia, l'architettura e ogni angolo del Castello di Antognolla, sia visibile che invisibile agli occhi. 

Il signor Polla non è solo un esperto di architettura medievale, ma anche uno degli ultimi residenti del Castello di Antognolla, la struttura del XII secolo che prende il nome da una potente famiglia locale.

Il signor Polla si trasferì al Castello con la famiglia nel 1949, quando aveva 12 anni. Suo padre era il direttore della Fiat, allora proprietaria della tenuta di Antognolla. Il Castello, che Polla chiama casa, lo avrebbe poi ispirato a diventare architetto e a dedicare il suo lavoro intellettuale a questa sua ex residenza e al paese di Antognolla.

Avendo abbracciato ed essendo stato abbracciato da Antognolla nel corso della sua vita, il signor Polla condivide momenti, pensieri e sensazioni di questa magica regione.

D: Cosa l'ha attirata inizialmente verso lo studio dell'architettura medievale?

R: Da bambino ero interessato all'astronomia e ai viaggi nello spazio, ma la mia passione mi ha portato a Roma per studiare architettura. Il Castello di Antognolla era un importante centro di formazione. È stato fonte di ispirazione per la mia curiosità; mi ha spinto a indagare il passato, a entrare nella materia architettonica. Il Castello e le sue torri - ma soprattutto i suoi tetti - sono diventati un raro punto di osservazione della realtà. L'essere umano produce, crea, inventa per coloro che verranno dopo. Un architetto può evidenziare aspetti che non sono facilmente percepibili a prima vista.

D: Com'è stato vivere nel Castello di Antognolla?

R: Vivere in un castello era qualcosa che avevo visto solo nei film. Quando mio padre ci disse che saremmo andati a vivere in un vero castello in Umbria, provai un'ondata di emozione. Il fatto che stessimo andando in un castello mi ha aiutato a superare la paura di abbandonare il mare vicino a Rimini, dove vivevamo. Ricordo ancora la prima volta che l'ho visto: dalla macchina, circondata da alberi, ho visto apparire la valle, il paese e il castello, che da lontano sembrava ancora più imponente.

Mi sentivo come una persona importante che viveva nel Castello. La mia stanza era la più bella: circondata da affreschi con motivi scultorei floreali in cui dominavano il blu, l'arancione e il bianco. Al centro della stanza c'era una loggia con un dipinto di Cupido che reggeva uno specchio. La volta era a padiglione con quattro lunette. La sala era chiamata Sala del Vescovo.

D: Quali sono le caratteristiche del Castello che si distinguono nella sua memoria?

R: Un castello come Antognolla permette alla mente di viaggiare, immaginando tutti coloro che si sono avventurati nel corso dei secoli. Ho vissuto l'intero castello, ogni suo angolo, le zone buie e quelle illuminate dal sole. La cosa più sorprendente è che la base del muro che si affaccia sul cortile non è stata murata, ma è stata lasciata in roccia naturale stratificata. Questa era la prova concreta che le mura del Castello erano state costruite direttamente sulla roccia della collina.

La stanza che mi affascinava di più, però, era l'armeria: sulle pareti brillavano i raggi delle spade incise, mentre al centro alcune teche contenevano vecchie pistole e in un angolo c'erano armature del XVI secolo che incutevano un certo timore e soggezione. In quella sala, nella mia mente, ho vissuto duelli e conquiste. Mi sentivo come Ruggero d'Antognolla, ricordato per il suo coraggio e la sua forza di volontà.

D: Lei è architetto ma anche pittore. Come è nato tutto questo?

R: Il muro su uno dei lati del cortile aveva una nicchia in cui non c'era nulla. L'impulso a fare qualcosa era forte: non sapevo scolpire, ma sapevo disegnare. Ero un pittore autodidatta e l'osservazione era la mia guida. Durante le mie passeggiate per il Castello trovavo le idee fondamentali per i miei futuri dipinti. Tutto ciò che mi circondava era colore. Ho sempre cercato di catturare nelle mie tele quell'"attimo fuggente" fatto di colori brillanti e cangianti che mi accompagnava anche nei sogni. Ho dipinto il Castello da ogni angolazione, quasi sempre circondato dal rossore argentato degli ulivi.

D: Nel suo studio Sul Castello Di Antognolla, lei esplora la comunità che un tempo viveva nei pressi del castello. Come vede il rapporto tra le singole strutture architettoniche e le comunità circostanti?

R: Guardavo con curiosità le persone che vivevano nel villaggio, con i loro carri trainati da buoi bianchi, e i bambini che presto divennero miei compagni di gioco. Era una comunità disponibile e unita. In ottobre tutta la zona si animava per la vendemmia e il dolce profumo del mosto inebriava l'intera valle. Carri pieni di uva arrivavano fino alla cantina sul sagrato della chiesa. E noi bambini correvamo a rubare la merce.

Intorno al pozzo, nel cortile, c'era un'intercapedine che serviva a nascondere il cibo: un bene prezioso durante la guerra. Il pozzo fungeva anche da frigorifero naturale per le bevande, rinfrescandole nelle calde giornate estive umbre. La chiesa, come luogo di incontro fisico e spirituale, è ciò che ha reso Antognolla non solo un villaggio ma anche una comunità. In essa si svolgevano le funzioni religiose nei giorni festivi, soprattutto d'estate, dove si riunivano tutte le persone dei dintorni. Dopo la Messa ci si salutava e ci si scambiava commenti sulle notizie della settimana. Anche la Pasqua era una festa speciale. Secondo la tradizione umbra, i cesti contenenti uova, vino, capocollo e altri alimenti, insieme ai dolci pasquali a base di formaggio, venivano portati in chiesa per essere benedetti e il loro contenuto veniva poi consumato il giorno della festa.

Dalla cima della torre più alta del Castello, insieme ad alcuni amici, abbiamo vissuto la nostra prima eclissi solare: un evento indimenticabile che non sarebbe stato possibile in assenza di una simile struttura architettonica.

D: Cosa significa essere "umbri"?

R: La terra dei miei antenati era il Piemonte, e sono nata in un paese di collina, Brusnengo, immerso nel verde di vigneti e frutteti. Sono arrivato in Umbria all'età di 12 anni e mi sono sentito accolto da questa terra ricca di storia. Sono diventata umbra per scelta. È qui che mi sono sposata e dove i miei figli hanno trascorso le loro estati, spensierati. Scegliere la vita, la bellezza e la natura: questo è ciò che rende l'Umbria, e questo è ciò che rende me umbro.

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